«A undici anni dal caso di Piergiorgio Welby e a otto da quello di Eluana Englaro, stiamo rischiando di perdere la grande occasione di vedere finalmente approvata, anche in Italia, una legge sul testamento biologico.»
a cura di Alice Spiga, direttrice SO.CREM Bologna
Questo ha scritto Mario Spadini, Presidente della Federazione Italiana Cremazione, alle SO.CREM italiane che, come specificato nel sito federale: “Operano per il rispetto della dignità dell’uomo e del dolore dei congiunti, per l’osservanza della volontà della persona in relazione alle decisioni di fine vita e per l’ampliamento delle libertà individuali nell’ambito della dimensione sociale collettiva”.
La legislatura attuale ha infatti 6 mesi di vita al massimo, che diventano sì e no una cinquantina di giorni togliendo festivi e considerando la “settimana corta” parlamentare.
Questo significa che il provvedimento sul testamento biologico, fermo da mesi in commissione al Senato, rischia di finire su un binario morto.
«Quelli che ne pagheranno le spese – continua Spadini – saranno soprattutto i pazienti meno abbienti, che non potranno permettersi di ricorrere a un giudice per vedere rispettata la propria volontà in materia di rifiuto o interruzione delle terapie mediche e riconosciuto il diritto costituzionale alla piena libertà di autodeterminazione.»
Quelli che ne faranno le spese, più in generale, saranno le famiglie dei pazienti, lasciate sole a gestire situazioni rese ancora più complesse dalla sofferenza e dal dolore.
Si guardi a uno dei casi che, più di recente, è salito alla ribalta delle cronache: il padre di Elisa P. che non sa che cosa fare, che vive nell’angoscia di che cosa accadrebbe alla figlia, in stato vegetativo da 12 anni, se lui dovesse morire prima di lei.
«È profondamente ingiusto e assurdo che un padre o una famiglia siano lasciati soli. Situazioni simili non possono essere affrontante in solitudine», ha dichiarato l’arcivescovo Vincenzo Paglia al Corriere della Sera del 1 agosto 2017.
«Fino a qualche decennio fa era normale che attorno a chi moriva ci fosse la partecipazione di tutti, il paese, gli amici, i vicini, – continua l’arcivescovo. – Oggi la morte è stata nascosta, è divenuta un fatto privato. Così pure il fine vita. Ci troviamo tutti più soli, senza più parole.»
In questo senso, le Disposizioni Anticipate di Trattamento – alias testamento biologico – potrebbero venire in aiuto delle famiglie e degli operatori sanitari quasi più che dei malati, soprattutto quando si resta “senza più parole”.
Il testamento biologico è infatti concepito per fare in modo che la volontà in materia di trattamenti e cure venga rispettata senza dover passare da infiniti e logoranti anni di procedimenti giudiziari, anche quando il paziente non è in grado di parlare.
Riteniamo sia giunto il momento che i nostri parlamentari si rendano conto che, come ha scritto anche Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera del 30 luglio 2017: «Anche se il tema del fine vita è divisivo, non è una buona ragione per non parlarne e non decidere. Al contrario, è il momento di affrontare una grande discussione, aperta, libera, rispettosa delle opinioni altrui, e soprattutto non inconcludente.»
«La scienza – continua Cazzullo – non ha infatti abolito la morte, l’ha resa più difficile, aprendo la strada a vecchiaie lunghissime che possono essere serene e produttive, ma anche foriere di paura e disperazione. Interrogarci, parlarne, decidere non può più essere un tabù.»
In conclusione, vi lasciamo con l’intervista rilasciata da Marco Cappato a Radio Radicale, il quale afferma che: «Se il Parlamento non dovesse riuscire ad approvare la legge in tempo, sinceramente mi dispiacerebbe per il Parlamento, perché perderebbe di credibilità e di capacità di rispondere ai bisogni della società».