Dall’assenza di consuetudini nelle cerimonie laiche ai vantaggi offerti dalla tanatoestetica. Dalle motivazioni che bloccano la diffusione della cremazione in Italia fino alla necessità socio-storica di smettere di considerare la morte, la cremazione e i luoghi ad esse connessi come dei tabù. Di questo e di molto altro abbiamo parlato con Sara Raimondi.
Di recente Sara si è laureata con lode in Antropologia culturale ed Etnologia all’Università di Bologna con una tesi – Funeral home e tanatoprassi: luoghi e corpi del rito funebre – che già dal titolo ha attirato la nostra attenzione. Entrando in contatto con Sara, ci siamo trovati di fronte una ragazza che, seppur nella sua giovane età, ha maturato una grande passione per il tema del rito funebre e della preparazione del corpo dopo la morte.
Il suo percorso è cominciato con la laurea triennale sui mutamenti che il corpo vive e subisce durante i riti di passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Da qui, ci racconta Sara: «Desideravo continuare lo studio dei riti osservando un settore, quello funerario, che sta vivendo forti cambiamenti ed evoluzioni. Ho pensato che uno studio approfondito da un punto di vista culturale avrebbe potuto indirizzare chi opera nel comparto funerario, aiutandolo a comprendere i bisogni concreti delle persone. Ho perciò unito il mio interesse per la ritualità a quella che mi sembrava essere una necessità sociale: osservare come la tradizione funeraria italiana mutasse e come dialogassero il settore pubblico e quello privato su questo tema».
Per svolgere la sua analisi sulla ritualità funebre, sui trattamenti dedicati ai defunti e sulle strutture legate a queste cerimonie, Sara si è rivolta alla casa funeraria Terracielo Funeral Home di Modena, una struttura privata dove i famigliari del defunto possono organizzare qualsiasi tipologia di cerimonia: funerali di tipo laico, commemorazioni multiculturali o semplici esequie che, senza casa funeraria, non troverebbero altra sede.
«Attraverso la ricerca etnografica – continua Sara – ho cercato di capire e di individuare le attuali necessità rituali per le famiglie che si sono trovate a gestire il decesso di una persona cara e come la casa funeraria rispondesse a queste esigenze. Quali erano i servizi che proponeva? Quali vantaggi potevano avere i dolenti utilizzando la casa funeraria, soprattutto per la veglia, rispetto a quella che è la tradizione italiana che prevede la veglia in casa o nelle camere ardenti degli ospedali?»
I risultati ottenuti da Sara durante il suo periodo di permanenza all’interno di questa casa funeraria sono di grande interesse per chi opera in questo settore. «Durante il mio periodo di ricerca presso Terracielo Funeral Home – scrive Sara nella sua tesi – non ho mai assistito a cerimonie funebri che seguissero le specifiche rituali di altre confessioni religiose, mentre le cerimonie laiche o civili, ossia senza la messa o le esequie, erano presenti ma non erano le principali cerimonie. La cittadinanza non ha infatti individuato questo luogo come uno spazio per cerimonie di ogni confessione ed essa non viene scelta proprio perché riserva spazi privi di insegne religiose o la possibilità di commemorare il defunto senza la presenza di un sacerdote; anzi è risultato evidente come le cerimonie laiche qui, ma mi permetto di dire in Italia in generale, non si sono ancora sviluppate completamente e risultano ancora prive di una struttura ripetitiva e di consuetudini».
1) Quindi, per quali motivi i famigliari scelgono la casa funeraria Terracielo?
«I dolenti solitamente apprezzano la soluzione della casa funeraria poiché, rispetto alle camere ardenti, permette maggiore privacy e tranquillità. Ogni camera ardente è formata da due stanze: si entra prima in un confortevole salotto con divanetti e poltrone, la cui porta si può tenere aperta o chiusa a discrezione della famiglia. Poi si può scegliere di passare nella seconda stanza, anche questa con poltroncine, dove viene conservato il feretro. Questo permette all’intera famiglia di partecipare alla veglia, senza per forza entrare in contatto con la salma; la famiglia può infatti anche scegliere di tenere sempre chiusa la porta e sostare nel chiostro accanto alla fontana, vivendo i giorni prima del funerale come meglio preferisce.
«Le famiglie apprezzano anche l’elasticità degli orari all’interno di una casa funeraria, che è aperta dal mattino presto fino alle sette di sera. Al suo interno è presente anche un bar, dove le famiglie possono mangiare qualcosa senza allontanarsi dal proprio caro.
«Apprezzata dai parenti dei defunti è anche la tanatoestetica. Gli anziani tendono infatti a prendersi meno cura del proprio aspetto, soprattutto perché la stanchezza fisica e la malattia rendono difficili o impediscono i movimenti; questo a volte causa dispiacere ai figli, che ricordano i propri genitori com’erano negli anni precedenti. La tanatoestetica riporta il padre e la madre a un aspetto migliore, a prima che la malattia e la sofferenza prendessero il sopravvento.»
2) Quali sono i 3 aspetti che ti hanno maggiormente colpito di questa struttura?
«Il primo aspetto che mi preme sottolineare, molto apprezzato dai dolenti, è la creazione di uno spazio fortemente simbolico, ma personalizzabile; la casa funeraria Terracielo è stata costruita per rasserenare i dolenti attraverso quei simboli che ricordano come la vita e il ricordo di chi ci ha accompagnati possa vincere il dolore della morte, quindi le stanze sono luminose, il chiostro della casa funeraria ha una fontana e molte piante e fiori.
«Luce e acqua, come anche l’ulivo al centro dell’ingresso, sono simboli culturalmente, se non universalmente, legati alla vita che prosegue, alle generazioni che si susseguono. Al contempo, però, i familiari possono trovare degli spunti con cui identificarsi poiché ogni camera ardente, dai nomi evocativi come Sala delle Palme, Sala delle Orchidee, Sala delle Stelle, ha colori diversi e arredamenti differenti. Si pensi che talvolta i dolenti scelgono una stanza per via del colore, che era quello preferito dal defunto, o perché il nome della sala richiama un episodio della vita del caro estinto.
«Inoltre ogni stanza può ospitare la foto del defunto e una serie di fotografie oppure un video può essere trasmesso in un monitor all’interno del salotto della camera ardente. In questo modo si cerca di creare uno spazio appositamente per quel defunto e per i suoi familiari.
«Il secondo aspetto che mi ha colpito è che nello stesso edificio si trovano le camere ardenti, gli uffici con la zona grafica, una sala mostra per le casse e per le urne, un magazzino, due sale autoptiche per la preparazione delle salme e nell’edificio adiacente il laboratorio dove vengono preparate e vendute le lapidi. Questo permette ai dolenti di ricevere un servizio di qualità senza dover muoversi da un luogo all’altro della città.
«Terzo e ultimo punto: la presenza di personale altamente qualificato, specializzato in tanatoestetica, una disciplina che – come già accennato – permette di presentare il defunto nel modo più dignitoso possibile, cancellando i segni della sofferenza provocata dalla malattia e dalla morte. I necrofori, in caso di necessità, sono anche in grado di ricostruire, con paste modellanti e trucco, alcune parti del viso eventualmente sfigurate a causa di una morte violenta, come un incidente d’auto, così da riportare il defunto al suo aspetto originario.»
3) Nella tua tesi, oltre alla tanatoestetica, citi anche una pratica: la tanatoprassi, che in Italia è per il momento illegale. Di che cosa si tratta? Quali vantaggi potrebbe apportare per le famiglie e per gli impresari?
«Ho voluto approfondire anche la tanatoprassi poiché, pur essendo ancora illegale in Italia, è una pratica eseguita da oltre un secolo negli Stati Uniti d’America e si sta diffondendo sempre di più anche in Europa, dove alcuni paesi la praticano già da qualche decennio.
«La tanatoprassi è, di fatto, un’imbalsamazione parziale che prevede l’utilizzo di un liquido di conservazione. Il trattamento permette di rallentare il processo di decomposizione poiché impedisce la degradazione dei fluidi interni. Non si tratta di un’imbalsamazione eterna, però permette di mantenere la salma intatta per qualche settimana, fino anche a qualche mese, a seconda della concentrazione della soluzione conservativa.
«La tanatoprassi permette anche di cancellare il grigiore che colpisce la cute dopo il decesso e il rilassamento dei muscoli del viso che tende a cambiare l’espressione di chi è morto, rendendolo a volte dissomigliante da come si ricorda; in questo modo il defunto appare davvero come immerso nel sonno. Questo consente ai familiari di rivedere nella salma il proprio caro prima che la vecchiaia avanzata iniziasse a condurlo verso la morte, riportandolo all’età matura: è quasi un ritrovarsi, un ricongiungersi.
«Non so prevedere come potrebbe essere accolta in Italia. Per le famiglie potrebbe risultare abbastanza sconvolgente (in sintesi: la tanatoprassi prevede l’estrazione del sangue dall’apparato circolatorio e l’aspirazione del contenuto degli organi interni, con successivo inserimento di un liquido di conservazione). Per quanto riguarda gli impresari, invece, basterebbe che puntassero maggiormente sulla tanatoestetica: migliorerebbe notevolmente la qualità del servizio offerto, garantendo la soddisfazione delle famiglie.»
4) A seguito alla realizzazione di questa tesi, hai deciso di portare avanti uno studio sui riti funerari concernenti la cremazione. Quali sono le motivazioni che ti hanno spinta a intraprendere questo studio?
«Ho intrapreso questo percorso sui riti con l’ambizione di poter legare la ritualità al corpo e alla percezione che ne hanno gli individui. Come studiosa, questo obiettivo mi pone di fronte a numerosi interrogativi. Se, infatti, come ho potuto notare nell’ultimo anno della mia ricerca, il corpo ha una funzione così fondamentale, quali sono i motivi che spingono le persone a chiedere la cremazione? E perché ancora oggi ci sono casi in cui le volontà di cremazione, dispersione o affido sono soltanto parzialmente soddisfatte dai parenti dei defunti?
«La questione non riguarda soltanto differenze ideologiche in merito alla cremazione (come ad esempio parenti contrari che, in mancanza di una volontà scritta del defunto, non rispettano il suo desiderio di essere cremato), ma sono coinvolte anche altre motivazioni. Prima di tutto: la burocrazia inerente la cremazione, complessa e diversa in ogni comune, diventa difficoltosa da portare avanti per i parenti dei dolenti, i quali magari si trovano a vivere in diverse città e devono correre da una parte all’altra per firmare i documenti.
«In alcune zone d’Italia, poi, i tempi per la cremazione sono spesso lunghi per mancanza di strutture adeguate e i tempi d’attesa diventano molto spiacevoli per le famiglie, che faticano ad accettare di lasciar solo il proprio caro per giorni in una stanza del crematorio.
In più, anche dopo la cremazione, i luoghi adibiti per i resti non corrispondono più alle moderne necessità dei dolenti. Mi riferisco in particolare ai luoghi destinati alla dispersione delle ceneri nei cimiteri pubblici: in alcuni casi piuttosto squallidi e mal tenuti e i superstiti hanno quasi l’impressione di abbandonare il proprio caro, che ha deciso di essere cremato e disperso e in alcuni casi nasce il dubbio, nei famigliari, che il defunto nemmeno avesse mai visto il luogo destinato alla dispersione. Da qui il malessere di alcuni figli che, pur rispettando le volontà dei genitori, si chiedono se davvero hanno fatto la cosa giusta.»
5) Intraprendendo questa ricerca sulla cremazione, quali risultati ti prefiggi di ottenere?
«Vorrei creare un dialogo tra le necessità dei familiari in lutto e le istituzioni pubbliche locali, sia in merito ai riti sia in merito agli spazi in cui vengono poi collocati i propri cari. E ho scelto di approfondire il tema della cremazione perché mi sembra quello che ancora necessita di attenzioni e riflessioni: non basta costruire crematori per permettere un ultimo saluto dignitoso e significativo per i parenti.
«La morte, la cremazione e i luoghi ad esse connessi non devono e non possono continuare ad essere un tabù, soprattutto in questo periodo socio-storico in cui ci stiamo sempre più allontanando dalla tradizione cristiano cattolica e allo stesso tempo non sappiamo ancora bene come ricostruire cerimonie adeguate.
«Chiedere ai dolenti, parlare con loro, partecipare concretamente, quindi fare ricerca attraverso gli strumenti dell’antropologo, permetterebbe certamente di scoprire le esigenze di chi sta vivendo un momento così doloroso e necessita di essere ascoltato e di poter creare una cerimonia perfetta per il proprio defunto».