Nessuno ci prepara a vivere uno dei momenti più difficili e più dolorosi della nostra esistenza: restare accanto a una persona amata che sta morendo.
In molti casi ci sentiamo soli e impotenti: qualsiasi gesto sembra inutile, qualsiasi parola sembra di troppo. Smettiamo di parlare con la persona che amiamo perché non può risponderci. Smettiamo di toccarla per un vago senso di pudore, o di timore.
Questa distanza, che poniamo tra noi e la persona che sta morendo, è spesso ignorata dalle strutture sanitarie in cui si viene ricoverati; è raro che negli ospedali, o nelle case di cura, ci venga suggerito di parlare o di toccare la persona che sta morendo. In alcuni hospice forse c’è una maggiore sensibilità su questo aspetto, ma non è uno standard generalizzato.
Eppure. Ken Hillman, professore di terapia intensiva presso l’Università del Nuovo Galles del Sud, in Australia, ha recentemente dichiarato che:
«Molteplici studi hanno dimostrato che l’udito è l’ultimo senso a svanire, per questo nei reparti di terapia intensiva e negli hospice stimoliamo i congiunti a parlare in tono calmo e rassicurante con le persone, a loro care, che stanno morendo.
Invitiamo i parenti a sedersi accanto a loro, a tenere le loro mani, ad accarezzare la fronte, a parlare con loro del giardino e degli animali domestici, presumendo che stiano ascoltando.
Consigliamo alle famiglie di concentrarsi sul vivere la fine insieme alla persona amata, esattamente come hanno vissuto ogni altro momento: facendole ascoltare la sua musica preferita, inumidendole la bocca se si asciuga, cambiando aria nella stanza, girando di tanto in tanto il cuscino, facendo un lieve massaggio alle spalle, al collo».
Il senso profondo di queste parole è: non interrompete di netto il rapporto con chi amate solo perché questa persona sta morendo. Continuare ad averne cura sarà di aiuto tanto a chi muore – e troverà conforto nel vostro affetto e nella vostra presenza – quanto a voi famigliari, perché potrete essere partecipi (anche) della sua fine.