Come devo comportarmi quando a morire è un amico che conosco solo tramite i Social Media? È giusto che io senta dolore se non l’ho mai nemmeno incontrato? Esiste un “galateo” da seguire?
di Alice Spiga – direttrice SO.CREM Bologna
Grazie all’utilizzo sempre più costante e massiccio dei Social Media – come Facebook, Twitter, Instagram – ogni giorno entriamo in contatto con un numero di persone sempre più vasto, persone con le quali è sempre più usuale instaurare rapporti di amicizia virtuali.
Con alcune di queste persone si può infatti arrivare anche a stringere amicizie profonde senza essersi mai incontrati di persona; si ride insieme, si soffre insieme, a volte ci si arrabbia, l’uno con l’altro o con il resto del mondo, si condividono esperienze, pensieri, passioni, interessi che finiscono per diventare un collante straordinario.
È quindi assolutamente normale provare un senso di dolore e di sofferenza quando, scorrendo le notizie su Facebook o su Twitter, veniamo a conoscenza della morte di uno dei nostri amici virtuali. Un senso di sofferenza che sarà direttamente proporzionale alla profondità del sentimento di amicizia che si era venuto a creare.
Di fronte alla notizia della morte di un amico virtuale, come scrive Steven W Thrasher nel suo articolo per The Guardian: «Come nelle classiche cinque fasi del dolore, la prima cosa che penso è: “Non può essere vero” (diniego), per cui cerco fonti e indizi che possano confermare la notizia.
«Quando ho accertato che il peggio è accaduto, comincio a consultare gli ultimi messaggi che ci siamo scambiati cercando di capire in che in che modo mi sono comportato con quella persona (senso di colpa): gli ho risposto male? Ha lasciato questo mondo sapendo che la stimavo o che gli ero affezionato?
«Successivamente mi impegno in quella che ho ribattezzato fototerapia, ovvero guado le immagini dove compariva il defunto, la sua vita digitale dopo la morte, e talvolta vengo investito dalla rabbia e dal dolore.
«Alla fine, dopo questa prima ondata di lutto, resto indeciso, bloccato dal seguente dilemma: “Quanto devo aspettare prima di poter pubblicare un post o un commento su questa morte?”»
Rispetta la gerarchia del dolore
Per rispondere a questa domanda, citiamo l’articolo che Taya Dunn Johnson ha scritto su upworthy.com a seguito di un’esperienza personale.
Dopo la morte del marito, quando ancora si trovava in ospedale, Taya si è infatti ritrovata accerchiata da messaggi e telefonate che le impedivano di portare avanti tutte le cose necessarie a seguito del decesso.
Il motivo? Qualcuno aveva pubblicato su Facebook un post sulla morte del marito senza aspettare che fosse lei a darne l’annuncio ufficiale, creando situazioni anche imbarazzanti, come la sorella del defunto che l’ha scoperto su Facebook invece che da lei direttamente.
La persona che per prima aveva pubblicato quella notizia su Facebook non aveva rispettato quella che Taya definisce: la gerarchia del dolore, causandole solo ulteriore stress.
«Le persone che hanno appena vissuto un lutto – spiega Taya – dovrebbero poter essere lasciate libere di vivere almeno le prime ore senza essere disturbate dalle notifiche su Facebook e su Twitter.
«La persona non è meno morta e l’affetto non è meno sentito se commenti, foto o tweet arrivano in “ritardo” di un paio d’ore. Onestamente, le prime ore sono semplicemente scioccanti e vi assicuro che la maggior parte delle persone in lutto sarà in grado di apprezzare veramente i vostri gesti di amore, consolazione, preoccupazione, preghiera dopo le prime 24 ore».
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Un galateo della morte online
Si tratta ovviamente della sua esperienza, ma è indicativa di quanto possa risultare deleteria l’assenza di un “galateo” che insegni come comportarsi di fronte alla morte in questo mondo virtuale.
Un galateo che si rivela ogni giorno più importante visto che, andando avanti, ci troveremo sempre più spesso a dover fare i conti con la morte online.
Si pensi che, solo nel 2016, gli utenti di Facebook che risultano deceduti sono 970mila e si stima che, entro la fine di questo millennio, su questa piattaforma gli utenti morti supereranno i vivi, creando il cimitero virtuale più grande al mondo.
«Dieci, venti anni fa, la morte era molto più privata, rinchiusa all’interno di una comunità – scrivono Nina Cesare e Jennifer Branstad, sociologhe della University of Washington – Oggi i social media stanno riportando la morte nella sfera pubblica, ampliando i confini di coloro che possono esprimere sentimenti e pareri sulla morte di qualcuno».
Dalla ricerca da loro compiuta è emerso che sui Social Network, e in particolare su Twitter, tutti si sentono in diritto, a volte persino in obbligo, di esternare il proprio pensiero, il proprio dolore, la propria partecipazione al lutto, anche se non si conosceva affatto la persona deceduta, anche correndo il rischio di far soffrire le persone che quel lutto lo stanno vivendo da vicino.
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Una possibile conclusione
Nei paesi anglosassoni il fenomeno della morte virtuale è più esteso rispetto al nostro Paese, banalmente perché è più esteso il fenomeno stesso dei Social Media, ma questo non ci rende immuni.
Più si estende la nostra presenza online e più aumenta la probabilità di trovarsi di fronte alla morte di un amico virtuale.
È dunque importante ricordare che, dietro la morte di quella persona, c’è una cerchia più intima di persone (amici e famigliari) che sta soffrendo, quindi prima di lanciarci a capofitto a commentare o a scrivere, fermiamoci un momento, rispettiamo il tempo e la gerarchia di quel dolore e, alla fine, se proprio vogliamo scrivere qualcosa, facciamo in modo che sia il frutto di un sentimento ragionato.
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Per approfondire
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