COME E’ POSSIBILE STABILIRE una linea di confine tra il normale dolore che si prova per la scomparsa di una persona cara e la depressione vera e propria? La pubblicazione del DSM V, la quinta edizione del manuale psichiatrico di riferimento pubblicato dall’American Psychiatric Association, ha riacceso le discussioni su un tema delicato e controverso. Il manuale, infatti, prevede la possibilità di diagnosticare uno stato di depressione – e, quindi, di somministrare i relativi farmaci – anche subito dopo il lutto. Le versioni precedenti, al contrario, richiedevano che fosse trascorso un periodo di almeno due mesi. Le polemiche non sono mancate: del resto, il sospetto che una decisione del genere possa essere stata presa (anche) per favorire l’industria farmaceutica è del tutto legittimo.
Siamo dunque di fronte all’ennesimo tentativo di medicalizzare quella che, nella maggior parte dei casi, rappresenta una reazione psicologica del tutto naturale? Un interessante articolo pubblicato sul sito della rivista Le Scienze riporta i risultati di un’indagine effettuata in Inghilterra su un campione oltre 20mila persone. Dalla ricerca emerge la tendenza a prescrivere psicofarmaci (soprattutto ansiolitici) a chi ha sofferto di un lutto recente. Una tendenza che, secondo gli autori, potrebbe avere “conseguenze non prevedibili”, con il possibile abuso di psicofarmaci.
Occorre comunque precisare, si legge nell’articolo, che se da un lato non è stata verificata la correttezza di diagnosi e prescrizioni, dall’altro aspettare almeno due mesi prima di somministrare qualcosa per aiutare a fronteggiare una sofferenza psichica acuta potrebbe non essere sempre la scelta più indicata.