Per evitare di nominare la morte e il morire, ci siamo inventati eufemismi, metafore e perifrasi che sono ormai entrati nell’uso comune, come “scomparso” o “passato oltre”.
Perché lo facciamo? Da dove derivano questi modi di dire? E perché abbiamo paura di nominare la “morte”? Rispondiamo a queste domande partendo da una ricerca australiana.
Articolo a cura di Alice Spiga, direttrice SO.CREM Bologna
«La morte e il morire sono argomenti tabù in molte parti del mondo, per cui non c’è da meravigliarsi che la maggioranza delle persone evitino di nominare i termini “morte” e “morire” sostituendoli con degli eufemismi».
Così esordiscono gli autori dell’articolo “Passing away”, “kicking the bucket” and “pushing up daisies”: how we avoid talking about death (in italiano: “Passare oltre”, “tirare le cuoia”, “concimare le margherite”: in che modo evitiamo di parlare della morte), pubblicato sul sito australiano ABC news.
«Una volta – continuano gli autori – era più naturale parlare della morte, ora siamo diventati creativi pur evitare il discorso. Per esempio, parliamo di persone che “passano oltre” o che “se ne sono andate”, rischiando di generare confusione e imbarazzanti malintesi.»
Un esempio?
Nel libro Il Sofà (edito da Rizzoli, 1988), capitolo Nei miei panni, il famoso giornalista e scrittore italiano Luca Goldoni scrive:
«Usiamo l’essenziale vocabolo [morte] solo nelle metafore – morto di sonno, morto di stanchezza – e non lo usiamo mai a proposito. Su Il Corriere dell’8 aprile, in 71 necrologi si parla 35 volte di scomparso, 18 di mancato, 18 di irreparabile perdita. Il vocabolo morto compare solo 4 volte perché morire è considerato sconveniente.
«Non farei queste lugubri considerazioni – continua Goldoni – se l’abuso della metafora non avesse provocato uno strano incidente. Su Il Resto del Carlino apparve tempo fa questo annuncio: “Gli amici di XY che ieri ne avevano annunciato la scomparsa sono lieti di informare che si è trattato di un doloroso equivoco”.
«Risultò che un amico dello “scomparso”, tornando da un viaggio gli aveva telefonato. Aveva risposto la moglie in lacrime: “Ci ha lasciato… ci ha lasciato…”. Ed effettivamente li aveva lasciati, ma in compagnia di una bionda di duecentoquaranta mesi.»
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Ma… perché usiamo questi eufemismi?
Secondo la ricerca australiana sopra citata, la maggior parte delle persone preferisce utilizzare degli eufemismi perché percepisce le parole “morte” o “morire” come troppo dure e hanno il timore che possano risultare sconvolgenti.
Alcuni partecipanti hanno addirittura sostenuto che solo gli eufemismi sono socialmente e culturalmente accettabili e che essere più diretti sarebbe “inopportuno”.
Altri ancora sostengono di utilizzare eufemismi quando altri lo fanno, adeguandosi al modo di parlare dell’interlocutore.
Ultimo dato interessante: oltre due terzi dei partecipanti al sondaggio erano professionisti della sanità, e molti di loro hanno ammesso di utilizzare la frase “scomparso” al posto di “morto”.
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È così grave che le persone utilizzino tali eufemismi?
Come accennato a inizio articolo, spesso gli eufemismi possono generare malintesi e fraintendimenti, come i comunissimi “andato” o “scomparso”.
Se vi ricordate, nell’articolo Come spiegare la morte ai bambini, il primo consiglio era proprio di utilizzare la parola morte evitando locuzioni come “il nonno si è addormentato”, oppure “la nonna è andata in un posto migliore”.
«Queste locuzioni – scrivevamo nell’articolo – potrebbero essere infatti mal-interpretate dal bambino, generando sentimenti difficili da gestire, come l’attesa del risveglio o del ritorno del nonno (cosa impossibile da verificarsi), oppure il senso di colpa: il bambino potrebbe pensare che la nonna è andata a stare in un posto migliore perché lui si è comportato male.»
Se poi sono i professionisti della salute – medici e infermieri – a utilizzarli, si corre il rischio che i pazienti e i famigliari non comprendano fino in fondo quello che sta succedendo.
«Utilizzare le parole giuste – si legge alla fine dell’articolo australiano – aiuta a normalizzare la morte e il morire: ci aiuta, da una parte, a prepararci alla morte di coloro che amiamo e, da un’altra, a prendere decisioni ragionate e consapevoli in materia di fine vita e di post mortem».
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Indice delle fonti
- “Passing away”, “kicking the bucket” and “pushing up daisies”: how we avoid talking about death
- Luca Goldoni, Il Sofà, Edizioni Rizzoli, 1988
- Come spiegare la morte ai bambini – video-intervista al Prof. Francesco Campione, tanatologo