Il giorno 21 aprile 2017, abbiamo partecipato a un incontro divulgativo di grande interesse che ci ha permesso di approfondire il pensiero di Carl Gustav Jung in tema di elaborazione del lutto.
testo di Alice Spiga, direttrice SO.CREM Bologna
L’incontro, organizzato dal Centro Culturale Junghiano Temenos, è stato condotto dal dottor Gianluca Minella, psicologo a orientamento junghiano di Milano e Varese.
Nella sua relazione, il dott. Minella approfondisce il pensiero junghiano sull’elaborazione del lutto partendo dalla concezione del lutto del fondatore della psicoanalisi: Sigmund Freud.
«Analizzando i saggi scritti da Freud sul tema della morte, con particolare riferimento a Lutto e melanconia del 1915-1917 – ha esordito il dott. Minella, – si evince che il lutto non è soltanto una reazione alla morte, ma è inteso come reazione alla perdita.
«Perdita della giovinezza, perdita di un amore, perdita di un’amicizia, di un affetto, perdita del senso di Patria, degli ideali, perdita di un lavoro, perdita del proprio status sociale.
«Per Freud, il lutto è uno shock emotivo, un evento traumatico che lascia una ferita e, se non viene affrontato correttamente, può creare “aree di paralisi” nel tessuto emotivo, togliendo senso alla vita, come esemplificato dalla poesia Funeral Blues di Wystan H. Auden, magistralmente recitata da John Hannah nel film 4 matrimoni e un funerale».
Per Freud esistono dunque tre reazioni a quella “terribile presenza dell’assenza” che è il lutto, due reazioni patologiche e una reazione sana.
Le due reazioni patologiche si configurano come:
- una risposta maniacale – chi soffre per il lutto tenta in ogni modo di negare la perdita subita, così da evitare di sentire il dolore e il vuoto. Il rifiuto è talmente ostinato che può portare anche ad episodi di delirio e di psicosi allucinatoria.
- una risposta depressivo/melanconica – l’oggetto perduto diventa una presenza indimenticabile, un pensiero talmente indelebile che la mente non riesce a pensare ad altro. Il risultato è un’idealizzazione della persona perduta, un dolore cristallizzato dal quale non si riesce ad uscire, portando a fenomeni di depressione e alla perdita completa del senso della vita.
«Per Freud – continua il dott. Minella – l’unico modo per elaborare un lutto in modo sano è viverlo come un processo. Le due risposte patologiche sono infatti degli “stati” nei quali la persona si ritrova ostinatamente bloccata, mentre l’elaborazione del lutto necessita di un lavoro che richiede tempo, dolore e memoria.
«Per Freud, infatti, bisogna imparare a restare nel dolore, dandosi il tempo di attraversarlo grazie al processo di “ricapitolazione”, ovvero del ricordo della persona e dei momenti trascorsi assieme, anche accettando il senso di dolore e di vuoto che il lutto porta con sé.
«Una concezione – chiosa il dott. Minella – sempre più distante dai valori che vanno imponendosi nella nostra società contemporanea, dominata dalla fuga maniacale dal vuoto, dal pudore verso il dolore e la morte e dalla necessità di “riprendersi in fretta per poter andare avanti”».
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E Jung? Che cosa pensava sulla morte e sul lutto?
Anche per Jung l’elaborazione del lutto è un processo, ma è un processo che dura lungo tutta l’esistenza. Nel suo saggio del 1934, Anima e morte, Jung afferma infatti che il lutto è una modalità della vita stessa, in linea con la concezione buddista che: “Non moriremo per una malattia, ma perché siamo nati”.
«Per Jung – continua il dott. Minella – la vita e la morte sono interconnesse. Tutto scorre nella vita, tutto cambia, tutto muore in un ciclo continuo. Il processo stesso di crescita dell’uomo è un processo di morte: il bambino che eravamo muore, l’adolescente muore, l’adulto muore e così via.
«Per Jung, tutta la vita è cambiamento, perdita e morte, per questo il lutto si configura come l’accettazione del mistero della morte e una ricerca continua di risposte».
Il processo delineato da Freud è, dunque un processo psichico-clinico inteso ad affrontare la morte dell’altro. Per Jung, invece, l’elaborazione del lutto è un processo filosofico teso a prendere confidenza con la propria morte, imparando ad accettare – un giorno dopo l’altro – la transitorietà di ogni vita partendo dalla propria.
«Jung vuole dirci – conclude il dott. Minella – che se l’uomo riesce ad accettare la propria morte, a viverla cercando risposte senza pretendere di trovarle, la morte dell’altro non sarà uno shock».
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Nota di redazione
Il testo di questo articolo è una sintesi dell’intervento organizzato dal Centro Culturale Junghiano Temenos alla Biblioteca Roberto Ruffilli di Bologna in data 21 aprile 2017.
Saremo presenti anche al prossimo evento dal titolo: Jung e le figurazioni dell’Ombra. Viaggio nel cuore di Tenebra condotto dalla dottoressa Simona Olivari.