Che cosa hanno in comune il telefono del vento del giapponese Itaru Sasaki, la serie TV statunitense UPLOAD, il non più attivo Afterlife Telegrams e Radio Deejay?
In apparenza nulla, in realtà sono quattro esempi che mettono in luce il bisogno umano di continuare a parlare con i defunti, di mantenere vivo il dialogo con chi abbiamo amato e perso.
Un bisogno che diventa sempre più evidente man mano che la tecnologia progredisce: siamo così abituati a prendere fuori lo SmartPhone per chiamare o scrivere alla mamma, al fidanzato, a un amico, al figlio che, quando questa persona muore, il gesto rimane e ogni volta rinnova il nostro dolore.
Soprattutto di fronte a una morte improvvisa, o al trauma di non poter dire addio (come purtroppo è avvenuto durante il Coronavirus), il bisogno di parlare con i defunti, di mantenere un rapporto con loro, può risultare così forte da dare vita a storie che hanno quasi dell’incredibile.
1. Il telefono del vento
Dopo la morte di un cugino al quale era molto legato, il giapponese Itaru Sasaki posiziona una cabina telefonica bianca, con un vecchio telefono a disco scollegato dalla linea, nel suo giardino, su una collina che guarda il mare. Pur consapevole di non poter sentire la voce del cugino defunto, Sasaki lo chiama ogni giorno e parla con lui, ottenendo in risposta solo il vento che soffia dal mare.
Trascorre un anno e la storia del telefono prende una svolta inaspettata: l’11 marzo 2011, un devastante tsunami distrugge chilometri di costa e arriva anche a Otsuchi, la cittadina in cui vive Sasaki, dove decima il 10% della popolazione, lasciando le famiglie in una situazione di completo smarrimento e di profonda sofferenza.
Colpito profondamente da questo lutto collettivo, Sasaki mette a disposizione il suo speciale telefono e, mese dopo mese, il suo giardino diventa meta di pellegrinaggio, finendo per attirare gente da tutto il Giappone.
2. L’iniziativa di Radio Deejay
Il telefono del vento potrebbe sembrare una stravaganza, frutto di una cultura molto lontana dal nostro Paese e dalle nostre usanze. E invece. Dalla mezzanotte alle 4 della notte del 31 gennaio 2020, Radio Deejay invita gli ascoltatori a lasciare brevi messaggi vocali rivolti ai propri cari defunti.
In poche ore, la radio viene inondata di messaggi di persone che parlano direttamente ai propri defunti; persone di ogni età, dal giovane al più anziano, che condividono momenti ed eventi famigliari a cui il defunto non ha potuto prendere parte.
Come scrive Davide Sisto, esperto di Digital Death, sulla sua pagina di Facebook: «La maggior parte di coloro che hanno mandato il messaggio vocale al morto lo ha fatto per raccontare eventi familiari; “mi sono sistemato” è l’implicita rassicurazione che gli viene data, alternata all’amarezza di non aver potuto condividere con lui la nascita di un figlio, per esempio».
In molti casi, continua Davide, è evidente la disperazione e il dolore che ancora permangono nonostante il passare degli anni: la voce rotta dal pianto e il “non ce la faccio più, ho bisogno del tuo aiuto”, che mostrano come la nostra società non dia un sostegno significativo all’elaborazione del lutto.
«Le persone parlavano al morto proprio come se potesse ascoltare – scrive Davide – ed era generalizzata l’amarezza di non ricordare più la voce del morto, il bisogno anche solo momentaneo di ricevere una risposta».
3. Il tempo dell’UPLOAD
Il bisogno di parlare con i morti raggiunge il suo apice nella serie TV fantascientifica UPLOAD, dove il paradiso è un luogo virtuale in cui i morti continuano a muoversi e a comunicare con i vivi tramite telefonate, video-chiamate e messaggi.
In questo paradiso virtuale, la morte non interrompe il rapporto tra vivi e morti; i due mondi restano in comunicazione. Il morto viene infatti trasformato nel suo alterego virtuale e continua a pensare, a provare emozioni, a dialogare e a farsi vedere, anche se sempre in modalità virtuale.
Indicativa la scena in cui il protagonista, morto, partecipa al suo stesso funerale: da una parte, c’è il mondo virtuale del morti, dove partecipano persone defunte con cui lui ha stretto amicizia nel “paradiso virtuale”. Dall’altra parte ci sono parenti e amici ancora vivi. In mezzo ai due mondi: un maxi schermo che permette l’interazione tra i due mondi.
Potrà sembrare pura fantascienza, ma sono diversi gli studi già attivi che mirano a creare alterego virtuali, in grado di continuare a risponderci dopo la morte. Si veda l’esempio, che tanto ha fatto discutere, della madre che ha incontrato la figlia morta grazie alla realtà virtuale (pubblicato su La Repubblica).
4. Telegrammi per l’Aldilà
Scopriamo, sempre grazie alla fonte inesauribile di Davide Sisto che, nel 2003 era attivo Afterlife Telegrams.
Si tratta, scrive Davide, di: «Un sito web che offriva un strambo servizio. Se uno voleva, poteva scrivere una lettera a un conoscente morto (o a un proprio idolo deceduto), preparava la lettera e la indirizzava al sito.
«Il sito smistava le lettere ad alcuni malati terminali i quali, una volta morti, “portavano” le lettere ai destinatari. I malati terminali erano volontari e, da quello che ho letto in Rete, partecipavano volentieri all’iniziativa per dare un senso alla loro vita che stava terminando».
Un servizio che non ha avuto successo, ma che rende molto bene l’idea del bisogno dell’uomo di continuare a comunicare con i defunti. In un modo o in un altro…