Che cosa fareste se vi mancassero cento giorni prima di morire? Da questa domanda prende spunto Fausto Brizzi nel scrivere la storia di Lucio Battistini, protagonista del romanzo Cento giorni di felicità.
Un libro coraggioso che affronta due temi, la malattia terminale e il suicidio medicalmente assistito, miscelando acute riflessioni sociologiche, sul modo in cui viviamo e moriamo, con una buona dose di ironia e di leggerezza.
Il protagonista, dopo un controllo medico, scopre infatti di avere un cancro in fase ormai terminale ed effettua una scelta: prendere contatti con una clinica Svizzera per ottenere il suicidio assistito.
Non ci sono dettagli, nel libro, sulla clinica. Non è un libro su “come fare per”. Il romanzo è la cronaca di un uomo consapevole di avere ancora e solo cento giorni da vivere.
«Cento giorni. Sono tanti se sei in vacanza. Solo pochi privilegiati hanno fatto una vacanza di cento giorni.
Peccato che la mia non sia una vacanza».
Un uomo che non vuole assistere al proprio decadimento fisico e, soprattutto, non vuole che vi assistano i figli e la moglie. «Desidero che mi ricordino in gran forma, o quasi. Credo che sia un mio diritto».
Il diritto di scegliere in che modo morire
«I cavalli molto malati e destinati a morte certa vengono abbattuti perché non soffrano troppo. Gli uomini no. Sono curati con accanimento per tenere accesa la fiammella della vita, e farli così patire fino in fondo. Come se meritassero un castigo».
Il diritto di scegliere in che modo vivere
Non importa che ci restino cento anni o cento giorni. Ognuno di noi ha il diritto di scegliere, liberamente, in che modo vivere la propria vita.
«Diceva Marcello Marchesi: “L’importante è che la morte ci trovi vivi”».
Il libro in breve
di Fausto Brizzi
Edizione Einaudi. Stile libero big
Per approfondire
Fausto Brizzi racconta i motivi che l’hanno spinto a scrivere Cento giorni di felicità
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