La morte è un mistero difficile da definire a qualsiasi età. Da adulti cerchiamo di darle delle spiegazioni, per cui c’è, ad esempio, chi considera la morte come un passaggio verso un Altrove variamente connotato o verso un’altra vita, e chi invece come una luce che si spegne e resta solo il nulla.
Ma da bambini? In che modo i bambini possono comprendere la morte?
Per rispondere a questa domanda, abbiamo trovato di grande interesse un articolo pubblicato sul National Geographic, che sintetizza i risultati ottenuti da una serie di ricerche, condotte a partire dagli anni ’50 del 900.
Nell’articolo si legge: «Ai fini della ricerca, gli scienziati definiscono la comprensione della morte di un bambino osservando tre aspetti specifici del concetto:
1) L’irreversibilità della morte. I bambini iniziano a comprendere che la morte è irreversibile intorno all’età di 4 anni.
2) La “non funzionalità”. La persona che muore non può più muoversi, non può mangiare, non può parlare, non può sognare. Questo aspetto viene compreso dai bambini tra i 5 e i 7 anni.
3) L’universalità della morte. Anche in questo caso, i bambini arrivano a comprendere che tutti muoiono in età compresa tra i 5 e i 7 anni. Prima, i bambini ritengono che ci siano alcuni gruppi di persone – genitori, insegnanti, loro stessi – che sono immuni dalla morte».
Quale utilità in questi studi?
Naturalmente si tratta di una generalizzazione: alcuni bambini si sviluppano più rapidamente di altri e alcune ricerche hanno messo in luce che eventi emotivamente traumatici – come la perdita di un genitore – possono accelerare la comprensione della morte da parte di un bambino.
Questa distinzione per età, però, può essere un’utile linea guida per un genitore che debba spiegare la morte a un bambino. In che modo?