Dagli “alberghi per i morti” ai robot che celebrano i funerali fino a il drive-in funebre; vediamo come si stanno trasformando le tradizioni funerarie in Giappone, dove il 99,9% della popolazione sceglie di essere cremata e i poli crematori faticano a gestire l’aumento vertiginoso dei decessi.
Secondo i dati recentemente pubblicati da Il New York Times, infatti, nel 2016 in Giappone sono morte 1,3 milioni di persone, con un aumento del 35% rispetto a 15 anni prima, e si prevede che il bilancio annuale continuerà a salire fino a toccare i 1,7 milioni nel 2040.
Anche il numero di persone che muoiono da sole è in aumento. A Tokyo, per esempio, il numero di persone sopra i 65 anni che sono morte da sole a casa è più che raddoppiato tra il 2003 e il 2015, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati del governo.
Sempre nel 2016, il 37% delle donne giapponesi è morta a oltre 90 anni, con pochi amici sopravvissuti, mentre quasi un quinto degli uomini giapponesi non si sposa mai o non ha figli, lasciandosi dietro pochi parenti che possano partecipare ai funerali.
Il funerale tradizionale giapponese prevede infatti che il corpo venga portato a casa dall’ospedale, dove parenti, amici e vicini siedono per una veglia notturna che dura fino al pomeriggio del giorno seguente, quando il corpo viene inviato a un crematorio.
Questo ovviamente finché i crematori sono stati in grado di gestire il numero dei decessi; oggi invece si verificano spesso attese di giorni, con evidenti problemi logistici che non tutte le famiglie sono in grado di gestire.
«Nell’economia della bolla degli anni ’80 – ha dichiarato Midori Kotani, ricercatrice esecutiva presso Dai-ichi Life Research Institute – i funerali giapponesi si basavano sul mettersi in mostra di fronte ad amici, parenti, vicini di casa. In passato, se qualcuno celebrava un funerale solo per i familiari, le persone del vicinato avrebbero esclamato: “Che tipo di persone organizzano un funerale per i soli familiari?”. Oggi invece è accettato, perché sempre meno persone hanno rapporti con i propri vicini, quindi ci si preoccupa sempre meno di quello che potrebbero pensare o dire».
1. Gli alberghi per i morti
In questo contesto, non stupisce quindi che in Giappone si stiano diffondendo gli “itai hoteru”, ovvero “alberghi per i morti” dove le stanze sono adibite a camera mortuaria, con piccoli altari e piattaforme appositamente progettate per contenere la bara.
Gli “alberghi per i morti” vengono usati sia dalle famiglie che desiderano un funerale per pochi intimi, sia da tutti colo che non vogliono alcun rito funerario; secondo la signora Kotani, nel 30% dei decessi nell’area di Tokyo non è previsto un servizio funebre, rispetto al 10% di un decennio fa.
Questi alberghi sono anche più economici: secondo la Japan Consumer Association, il funerale medio in Giappone costa circa 1,95 milioni di yen (circa 17,690 $). Il pacchetto più economico presso uno degli itai hoteru costa sui 185.000 yen, (1,768 $).
Dopo la cremazione, le famiglie conservano le ceneri a casa per 49 giorni prima di deporle in un cimitero (il 49° giorno, secondo la tradizione buddista, i morti infatti rinascono).
Per approfondire
Si consiglia la lettura del citato articolo de Il New York Times
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2. I robot che celebrano i funerali
Il cambiamento all’interno delle comunità giapponesi ha comportato anche a una seconda mutazione interessante: molti sacerdoti buddisti ricevono infatti sempre meno sostegno finanziario da parte delle loro comunità, spingendo alcuni a trovare un secondo lavoro al di fuori delle loro funzioni nel tempio.
Lo ha dichiarato Michio Inamura, consigliere esecutivo di Nissei, una multinazionale specializzata in materie plastiche che ha presentato ufficialmente la nuova funzione del robot umanoide “Pepper” che, da oggi, potrà svolgere le funzioni di un sacerdote buddista ed essere noleggiato ai funerali.
Equipaggiato con una fotocamera e sensori, Pepper può reagire alle emozioni umane, ridere se raccontato una barzelletta, in più ha la capacità di imparare dalle conversazioni, sia in giapponese sia in inglese. Si pensi che, alla fine del 2016, i robot Pepper sono stati assunti dalla Nescafe per lavorare nei negozi in tutto il Giappone e hanno sostituito il personale di un negozio di telefonia a Tokyo.
Adesso, Pepper può celebrare anche i funerari secondo il rituale Buddista, intervenendo quando il celebrante umano non è disponibile. Senza contare che costa meno di 50.000 yen (circa $ 450) rispetto ai 240.000 yen ($ 2.200).
Sorprendentemente, Pepper non è il primo prete robotico. A maggio 2016, la città tedesca di Wittenberg ha costruito un pastore robotico per celebrare il 500° anniversario della Riforma.
Chiamato BlessU-2, il robot ha un touchscreen incorporato nel busto che permette di selezionare le benedizioni in tedesco, inglese, francese, spagnolo o polacco – recitate a scelta con una voce maschile o femminile.
Per approfondire
Si consiglia la lettura dell’articolo originale in lingua inglese
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3. Il funerale diventa drive-in
Ma le novità dal Giappone non finiscono qui. Per frenare l’avanzata dei servizi a basso costo come quelli proposti dagli “itai hoteru”, le agenzie di onoranze funebri hanno iniziato a proporre servizi sempre più personalizzati.
Di recente, infatti, un’impresa di pompe funebri giapponesi ha introdotto un servizio “drive-in” per fare in modo che chiunque possa portare i propri omaggi al defunto senza dover scendere dalla macchina.
Il servizio è primariamente pensato per tutti coloro che, per anzianità o per disabilità, faticano a partecipare di persona al funerale, ma vogliono comunque portare i propri omaggi alla famiglia del defunto.
In pratica, le persone arrivano in auto, si avvicinano a una finestrella, scrivono il proprio nome e indirizzo su un Tablet, lasciamo un’offerta in denaro come vuole la tradizione e, se lo desiderano, dicono una preghiera verso l’altare bruciando incenso (come previsto dal rito funebre buddista).
Uno schermo installato nella sala dove si svolge il funerale rimanda le immagini di coloro che si presentano in auto, così la famiglia sa che anche loro hanno partecipato.
Per approfondire
Si consiglia la lettura dell’articolo originale in lingua inglese
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