Con 1506 poli crematori, il Giappone è il continente con la percentuale di cremazioni più elevata in assoluto. Nel 2013 aveva infatti raggiunto il 99,9% sul totale dei decessi.
In Giappone, infatti, la cremazione dei defunti è vista come una pratica di purificazione dell’anima dove il fuoco è parte integrante del rito funebre.
I giapponesi credono infatti fermamente che, dopo la morte, l’anima debba liberarsi del corpo, purificandosi tramite i tre elementi fondamentali: acqua, vento e fuoco. Per questo motivo praticamente la totalità dei morti viene cremata.
E non vengono cremate solo le persone. Si pensi che una volta all’anno i sacerdoti del tempio di Honjyuin selezionano un gruppo di giocattoli e bambole tra le centinaia che ricevono e li cremano in uno dei loro templi nelle montagne a nord di Tokyo.
Per darvi un’idea ancora più precisa dell’attività crematoria del Giappone citiamo il caso di Nagoya City, una delle tre città più ampie del Giappone con una popolazione pari a 2,27 milioni di persone.
A Nagoya muoiono circa 55 persone al giorno e il crematorio della città, costruito nel 1915 all’interno del Yagoto Cemetery Park, conta 46 forni per la cremazione e ha raggiunto le 23000 cremazioni nel solo anno 2013.
Yagoto Crematorium è rimasto da allora il solo polo crematorio della città, anche se sin dal 1998 la municipalità ha dato il via a un progetto per la creazione di un secondo crematorio: il Nagoya City Da Ni Crematorium che avrà 30 forni crematori, 30 sale d’attesa e un parcheggio per 180 auto.
Nota di redazione
I dati sulla cremazione in Giappone e sui due poli crematori sono stati divulgati dal Dr Shoji Eguchi, presidente della Taiyo Chikuro Industries Ltd, durante l’edizione 2015 dell’International Cremation & Burial Conference and Exhibition e pubblicati, in lingua inglese, su PHAROS INTERNATIONAL, autunno 2016, la rivista ufficiale della Cremation Society of Great Britain.
Per approfondire
Chi volesse maggiori dettagli sul rito funebre in Giappone, legato a doppio filo alla cremazione, può consultare l’articolo pubblicato su Lutto e memoria.